martedì 2 marzo 2010

Sulla condanna di tre dirigenti di Google Italia per violazione della normativa sulla privacy.

Lo scorso 24 Febbraio il giudice monocratico Oscar Magi, della IV sezione penale del Tribunale di Milano, ha condannato per violazione della normativa sulla tutela dei dati personali, prevista dal decreto legislativo 193/2003, a sei mesi di reclusione tre dirigenti di Google Italia.

Sappiamo tutti che il caso che ha portato alla condanna è quello della diffusione per circa due mesi su googlevideo di un video in cui alcuni studenti di una scuola di Torino umiliavano, non solo verbalmente il loro compagno di classe affetto da una sindrome di autismo.


Leggendo il dispositivo della sentenza veniamo dunque a conoscenza che vi è stata una violazione della normativa sulla privacy, mentre il giudice ha escluso che il fatto, così’ come contestato ai dirigenti di Google, ponesse in essere gli estremi di una diffamazione.


Non sappiamo altro. Le motivazioni saranno note entro 90 giorni. Eppure, in tutto il mondo, non solo in Italia, si è già sentenziato, senza aspettare la sentenza, su un attacco alla libertà di espressione del pensiero ed un arretramento democratico del nostro Paese che si avvicinerebbe ai pericolosi sistemi censori dell’estremo oriente.


Forse è opportuno abbassare i toni del dibattito ed evitare giudizi eccessivamente tranchant che si potrebbero rilevare assai approssimativi, se non più banalmente errati, all’indomani della pubblicazione delle motivazione della sentenza.


Facciamo qui soltanto qualche osservazione a proposito, senza alcuna ambizione di esaustività.


È sbandierata da più parti la contrarietà della decisione del giudice a quanto previsto sia a livello comunitario (Direttiva 2001/31), sia a livello interno ( D.Lvo 70/03) , sull’assenza di un obbligo di sorveglianza in capo agli ISP. Ci si dimentica spesso però, a questo proposito, di fare due considerazioni che invece potrebbero avere avuto un ruolo decisivo nelle argomentazioni del giudice.


In primo luogo, essendo la condanna esclusivamente per il reato di illecito trattamento previsto dall’art. 167 Codice Privacy, potrebbe essere irrilevante richiamare la norma che all’art 16 del d.Lvo 70/03 prevede l’irresponsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni – hosting. Questo perché, molto semplicemente, l’art. 1 del medesimo decreto al comma due prevede che «non rientrano nel campo di applicazione del presente decreto: .......... b) le questioni relative al diritto alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle telecomunicazioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e al decreto legislativo 13 maggio 1998, n. 171, e successive modificazioni.


In secondo luogo,ed ancor prima da un punto di vista logico, a me pare che non sia scontato che a Google si possa applicare sic et simpliciter la normativa comunitaria (e nazionale) sulla irresponsabilità degli ISP. Per due ragioni.


La prima è di natura tecnica. La normativa in questione concepisce il provider come un soggetto terzo che non ha alcun controllo sui contenuti in quanto non ha alcuna possibilità di incidere concretamente sulle loro modalità di diffusione, ma può al massimo prestare uno spazio che poi viene gestito autonomamente dal fornitore di contenuti. Si può dire che google video ed ora di you tube, con i suoi sistemi sofisticati di filtri, indicizzazioni e categorizzazioni, non abbia alcun controllo sui dati del prestatore di servizio (condizione alla quale la normativa comunitaria subordina l’esenzione di responsabilità)?


La seconda ragione è di natura economica. È molto probabile che la direttiva sul commercio elettronico avesse in mente quegli ISP che fornivano il servizio di connessione in cambio di una contropartita economica, e non chi, come Google, fa dei guadagni non chiedendo un quid per il servizio di connessione, che è gratuito, ma lucrando sulla pubblicità che ospita la piattaforma


Infine, ci sembra che più che un problema di tutela dei diritti fondamentali,ed in particolare di lesione della libertà di espressione, alla base del caso ci sia una questione, più banalmente, di riequilibrio di business aziendali. Quanto è opportuno e quanto è conveniente che spenda in più google, se viene appurato che ha la possibilità tecnica di operare alcuni controlli, per essere in grado di rispettare la legge italiana (ed europea) sulla tutela dei dati personali?

Oreste Pollicino
Docente di diritto dell’informazione e della comunicazione
Università commerciale L. Bocconi

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